Testuali parole

L'immagine della Verità

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Le notizie “false”, in tutto o in parte, esistono da sempre; oggi poi si sono diffuse ulteriormente con internet che ne ha permesso una produzione “popolare” a fianco, cioè insieme, a quella di organizzazioni più o meno sofisticate che hanno tolto il monopolio della cattiva informazione alle fonti del “potere” dei mass media “ufficiali”. Così la ricerca della verità è ancora più complicata del solito. Alla -doppia verità- sempre “di moda” ora poi si aggiunge la -post-verità- nell’epoca del relativismo.

La Verità è inattingibile, in assoluto. La verità, quella parte di verità che è nelle cose, nell’arte, in un testo di letteratura, è ciò che ne forma la bellezza. A volte c’è più verità in un sogno che in un fatto o in una confessione.

La Verità è stata personificata nell’arte con un’allegoria che segue un canone preciso e da cui non si discosta.

La Verità è nuda, da sempre, (nuda Veritas, Orazio) e ciò concorda col termine che le assegnavano i Greci, Aletheia, ossia anche “disvelamento”.

Nelle opere più note dell’arte antica e di quella medievale noncompare la figura della Verità, anche se dobbiamo considerare che la perdita della pittura antica condiziona le nostre conoscenze. Nel pantheon romano alla Verità era riservato un culto come madre della Giustizia e delle virtù. Una favola di Fedro spiega perché la Menzogna, scolpita a somiglianza della Verità e suo pendant, avrebbe le gambe corte.

Nel Quattrocento Botticelli, con un’Ekphrasis, seguendo la descrizione letteraria (Luciano di Samosata) di un’opera di Apelle, dipinge La Calunnia: un quadro di non grandi dimensioni che appare monumentale per il numero e la visione a distanza dei personaggi e per lo sfondo. La Verità, separata dal gruppo accomunato dall’azione, rivolge lo sguardo al cielo che indica anche con un gesto della mano: condivide questo atteggiamento con la Giustizia, per dire che sono virtù che non appartengono al mondo di quaggiù.

 

 

Sandro Botticelli, La calunnia

 

Nel Primo Rinascimento, vari frutti accompagnano la Madonna col Bambino con un significato simbolico; la Verità rispetto ad altre virtù ha poche corrispondenze in fiori, frutti, piante o animali ed è rappresentata dalla pesca: la forma del cuore e la fogliaassociata alla lingua indicherebbero sincerità d’animo.

All’inizio del Cinquecento un artista locale dipinge nella loggia della Giustizia di San Gimignano un’allegoria della Giustizia in un affresco monocromo. La donna nuda ha una colomba in testa e altri elementi forse ispirati a un passo del Filarete.

Sempre nel Cinquecento è Giorgio Vasari che propone insieme Verità e Giustizia in una composizione affollata di figure collegate nella Allegoria della Giustizia (1543). Poi Annibale Carracci (1544-’85) nell’Allegoria della Verità e del Tempo mostra la Verità uscita dal pozzo che schiaccia e vince la Frode o Inganno con l’aiuto del Tempo e porta la Buona Fortuna (o Felicità) e il Buon Evento. Dipinto collegabile a un’incisione di Bolognino Zaltieri che illustra Le immagini de i dèi antichi di V. Cartari.

In alcune medaglie in bronzo si trova la figura allegorica della Verità, nel rovescio, dietro al personaggio effigiato; gli autori sono Mea (1510 ca.), P. Pastorini (dopo il 1550) e M. Olivieri (1517-21).

Nel 1551-52, G. Mazzoni dipinge Il Tempo che svela la Verità in Palazzo Spada a Roma. Sempre del XVI sec. ha il titolo alternativo di Allegoria della Verità un’opera curiosa di Peter Flötner che ha per protagonisti una prostituta e un buffone e come scena la depilazione del pube della donna.

Giovanni Bellini rappresenta la Verità che tiene uno specchio e indica un volto che in esso si riflette, come a dire,al personaggio che si trova al nostro posto, “conosci te stesso”; la donna nuda sta su un piedistallo cilindrico ed è accompagnata da putti annuncianti e uno musicante. Secondo alcuni si tratterebbe della Prudenza o della Vanità. La tavoletta a olio fa parte con altre tre delle stesse dimensioni di un’allegoria nella quale assai particolare per l’ideazione è la Menzogna.

 


Giovanni Bellini, Allegoria della Verità (o della Vanità)

 

Della fine del secolo è il “manuale” fondamentale per la rappresentazione di concetti astratti: L’Iconologia di Cesare Ripa. Esso si diffonde all’inizio del Seicento con varie illustrazioni della verità molto simili tra loro. Raccoglie attributi iconografici già ricordati. La Verità è una donna nuda. Questa caratteristica è imprescindibile, non può coprirsi di orpelli o trucchi, si mostra da sempre nuda e cruda per ciò che è, e senza abbellimenti. Nel testo di Ripa tiene in mano un sole che illumina e rivela il Vero ed è amica della luce. Nell’altra mano ha un libro e una foglia di palma che indicano che anche dai libri si può apprendere il Vero e il trionfo sul falsoe la capacità di sostenere il peso (o non cedere al falso) con la palma. Il piede si appoggia sopra il globo della Terra a simboleggiare il suo dominio sulle cose del mondo.

Il sole, nelle successive versioni,quasi sempre, si trasforma in uno specchio che riflette senza falsare, restituisce la realtà così com’è, e rimanda i raggi solari.

La personificazione della Verità spessoè immaginata in un pozzo. Si fa riferimento a un’espressione di Democrito: “La Verità è irraggiungibile perché sta in fondo a un pozzo”. Può darsi che fosse un abisso, come dire sta nel profondo e perciò nascosta e lontana, forse anche prigioniera, comunque difficile da “liberare”.

La suggestione del pozzo poteva alludere anche alla luce della luna che lì si riflette e con un’altra associazione anche all’acqua lustrale, l’acqua per i riti, o da bere nel santuario prima di ricevere in sogno le rivelazioni o i messaggi aspettati e sperati.

Sul pozzo s’incentra una “parabola” difficile da assegnare a un’epoca precisa secondo cui la Verità e la Menzogna (sorella gemella e perciò poco distinguibile?) si sarebbero tuffate per un bagno rinfrescante. La Menzogna dopo aver rubato le vesti alla Verità sarebbe andata per il mondo spacciandosi per lei, sotto un bell’aspetto.

Nel Seicento con il concettismo dilagante il tema si diffonde. Bernini propone la figura della Verità nel Monumento funebre di Alessandro VII (1672-’78) e La Verità svelata dal Tempo(1646-’52).

 

 

Gianlorenzo Bernini, La Verità svelata dal Tempo   (foto di Sayko)

 

Altri autori, altre opere. Il Domenichino, Il tempo svela la Verità, dipinto murale in Palazzo Costaguti a Roma, (1620-25); F. Zaniberti, tela con La Giustizia scopre la Verità (1630-35);  D. Guidi scolpisce un’allegoria della Verità, tra le altre, per il Monumento funebre del card. De Luca per la chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani a Roma (1683-1690); Cristoforo Roncalli, Allegoria della Verità (1614); P. P. Rubens, Trionfo della Verità (1622-25); Pietro Liberi, La Verità vince il Tempo (1660-65). Di Alessandro Rondoni e Melchior Barthel sono sculture allegoriche della seconda metà del Seicento.

Tempo e Verità sono insieme protagonisti.  È il tempo che svela la Verità, Veritas filia temporum, nella versione più semplice: il tempo è galantuomo (una sentenza adottata con un significato diverso da Bacone per sostenere la nozione di Progresso e di superiorità del “moderno”).

La Verità è talvolta accomunata alla Misericordia (ad esempio da Imperiale della Grammatica?). In un anonimo genovese con incerta datazione è insieme alla Speranza oltre che al Tempo.

Nel 1698 Sebastiano Ricci dipinge il soffitto della scala di Palazzetto Bru Zane a Venezia con il Tempo e la Verità.

Nel Settecento Giambattista Tiepolo affronta il soggetto della Verità svelata dal Tempo in varie opere e forse sono le versioni più belle: Palazzo Chiericati, Vicenza (1733-34);  Palazzo Barbarigo, Venezia (1740-45); Villa Loschi, Monteviale (1734).

 

 

Giambattista Tipeolo, affresco della Verità svelata dal Tempo in palazzo Chiericati

 

Una curiosità: una copia della prima di queste nel 2008 era stata scelta dal Governo in carica per fare da sfondo alle conferenze stampa a Palazzo Chigi. Fu in quell’occasione coperto un seno in bell’evidenza dietro ai parlanti con un singolare “tradimento” dell’intento simbolico dell’operazione.

Altre opere con il soggetto considerato sono di Pompeo Batoni in Palazzo Vecchio, Guido Domenici (in scultura), Mengs. E ancora. Nel 1709 Bartolomeo Guidobono, il prete di Savona, dipinge La Verità scoperta dal Tempo con le figure bianche e lo sfondo blu che ha nella riproduzione fotografica l’aspetto di un rilievo, di una robbiana. Nel 1733 J. F. de Troy, Il Tempo svela la Verità che toglie la maschera alla Falsità alla presenza della Giustizia, indicata dalla Prudenza (?) per il serpente, appoggiata su un leone accovacciato con la lingua di fuori. Nel dipinto di Francois Lemoyne, Il Tempo salva la Verità dall’Inganno (1737),s’intravede il bordo del pozzo e lo sguardo di Lei è rivolto al cielo.

Anche F. Goya (fine secolo e inizi del successivo) tratta il soggetto personificando la Verità in più opere con un significato più etico che morale, con stretti riferimenti storici e politici.

Nell’Ottocento è soprattutto l’arte francese, con scopi non sempre ben definibili, ad affrontare il soggetto.

Di Charles West Cope è Lo spirito del pozzo che sembra piuttosto la Verità che sconvolge un “indifeso” fraticello e forse lo espone alle insidie della tentazione.

 


Lo spirito del pozzo, di Charles West Cope

 

L. Mussini con Il trionfo della Verità (1847-48) pone la donna protagonista tra pensatori e scienziati e come dominante in una specie di “Scuola d’Atene”.

La Verità (1870) di J. J. Lefebvre si tiene a una corda con una postura che forse ha contribuito a ispirare la Statua della Libertà.

La Verità di Lefebvre è presa di mira in una vignetta di Cham, nome d’arte di C. A. de Noé, apparsa sul Journal de Charivari. L’autore l’accompagna con la parafrasi spiritosa di un proverbio: se non sempre è buona da dire la verità, allora nemmeno da dipingere.

La Verità (1879 ca.) di Paul-Jaques-Aimé Baudry appena uscita dal pozzo è accolta da un putto che le offre le vesti.

La Verità (1883), statua in marmo e miniatura in gesso di Lucien Pallez (Lucien Lamesfeld) è una fanciulla decisamente aggraziata.

La Verità uccisa dalla Menzogna e dai bugiardi (1895) di Jean-Léon Gérôme giace in fondo al pozzo mentre lo specchio luminoso è sospeso in aria.

Il riilevo della Verità della Library of Congress (1896) tiene nelle mani oltre lo specchio un serpente. Con quale significato? Il serpente è un simbolo ambivalente per eccellenza, positivo e negativo. Perché qui è attributo della Verità? Sottomette ciò che è falso o esprime conoscenza (gnosi)? Più verosimilmente accomuna a sé la Prudenza.

Quid est veritas? (1890) di NikolajGe, il tema è dato dalla domanda di Pilato rivolta a Gesù, Che cos’è la verità? In questo caso la Verità, titolo e dunque soggetto dell’opera, è Cristo stesso.

La verità che esce dal pozzo (1896) di Jean-Léon Gérôme, autore che torna più volte sul soggetto con intento polemico nei confronti dell’Impressionismo. L’espressione irata, unita alla frusta che tiene in mano, mostrano le intenzioni della donna.

 


 La verità che esce dal pozzo, di Jean-Léon Gérôme

 

Una complessa Allegoria della Verità con diversi personaggi è quella di Luc-Olivier Merson (1901).

La verità che esce dal pozzo (1898) di É. Debat-Ponsan interviene in modo esplicito nell’affare Dreyfus a favore della “battaglia” di Zola; infatti, a cercare di fermare la Verità sono due personaggi in abiti antichi ma che rappresentano un militare e un ecclesiastico.

 


 La verità che esce dal pozzo, di É. Debat-Ponsan

 

Nel breve volgere degli anni di fine secolo e inizio del successivo sono molte le opere che trattano il soggetto ispirandosi reciprocamente; alcune di queste, ma non tutte, dal ’94 in poi, alludono e intervengono sul caso Dreyfus.

Nettamente impegnata nell’affaire Dreyfus è la vignetta di H. G. Jossot, datata 1902 e apparsa sulla rivista satirica L’Assiette au beurre, in cui un prete, un giudice e un militare si affacciano sul bordo di un pozzo e guardano verso il basso all’interno. La didascalia (importante quanto il disegno a detta dello stesso autore) è: “Era troppo nuda…” (per lasciarla uscire: noi completiamo). Noi che sappiamo chi c’è in fondo al pozzo. In una vignetta di qualche anno dopo Jossot disegna la Verità nuda che scandalizza dei borghesi e benpensanti e le loro parole sono l’accompagnamento dell’immagine: “Che sfrontata questa Verità! Osare uscire così”.

 

 


La vignetta di Jossot

 

Nel secondo Ottocento a coloro che l’hanno personificata in una bellezza in vendita, retorica o ambigua, sensuale o persino morbosa“sfugge” il senso dell’operazione. Il pittore cerca un pretesto per il corpo nudo di fanciulla? Aveva Venere per quello scopo.  E sarebbe stato giusto, perché è la dea della bellezza e dell’amore che suscita. Qui invece molte opere, anche tecnicamente pregevoli, mostrano in modo pretestuoso o quasi sfacciato corpi con deciso richiamo sensuale, ninfe o allegorie. Anche quando con più “onestà” il titolo si riferisce a Venere, si tratta di una “censura” di parole: La nascita di Venere di Cabanel sarebbe stata più credibile distesa sul velluto di un divano di una casa equivoca piuttosto che sulla schiuma del mare.

Non è il nudo impietoso e “avvilito” nel suo verismo di Courbet, né di altri grandi, Munch, Klimt, pure assai diversi tra loro, ma quello leccato dell’art pompier. Un’eccezione forse è l’ossessione femminile di Waterhouse: un omaggio più convincente. Ma questo è un altro tema.

Ci sono verità e bellezze particolari. In tal caso verità può essere senza bellezza e viceversa, ma Verità e Bellezza (con la maiuscola) non possono essere l’una senza l’altra. La grande opera, o semplicemente l’opera riuscita, contengono in sé la Verità: è il Realismo, non quello di correnti storiche contingenti, di certi periodi o determinate geografie, ma quello che appartiene a tutti gli stili e a tutte le epoche.