Testuali parole

Nel regno di Venere

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Je parle d’un jardin
Je rêve
Mais j’aime justement

(P. Éluard)

 

La Bellezza e l’Amore hanno una dea comune, Afrodite, e un tempo, la Primavera. E la ninfa è una personificazione di Natura e bellezza femminile unite insieme.

La bellezza umana ha infinite forme nella realtà dovute a piccoli difetti, il più delle volte somiglianze ereditarie, che senza mai mancarne del tutto come per un irraggiungibile assoluto, tendono essendo lievi a farsi dimenticare. La bellezza pura sarebbe unica, identica a se stessa, un’astrazione. È quella idealizzata dall’arte greca che segna lo scarto con la realtà. Sia di Apelle, sia di Zeusi si racconta che per ottenere un’immagine di perfezione scelsero le parti più belle di diverse giovani. Raffaello sostiene qualcosa del genere e l’idea è ripresa dal Neoclassicismo e finiamo per ritrovarla nella Tosca, dove l’immagine dipinta è “recondita armonia di bellezze diverse”.

La bellezza è femminile. O almeno il primato lo è nell’immaginario collettivo (se questo concetto abusato e un po’ fumoso vale), nella fantasia mitica. È il potere stesso dell’uomo, in quanto giudice e detentore di gusto, di scelte artistiche e di decisioni culturali, che lo assegna e stabilisce. Ciò conferisce alla donna un contro-potere, che è forse una minima rivalsa, ma pur sempre una difesa che la donna usa istintivamente o consapevolmente.

La bellezza è stata soggetto artistico dai primordi, le veneri del paleolitico sono tra le prime opere d’arte concepite e realizzate dall’uomo. Se, secondo l’ipotesi più accreditata, lo scopo di queste sculture è “extra-artistico” non si può escludere anche un intento estetico e un bisogno di ricreare la realtà, soprattutto ciò che desta l’ammirazione e il desiderio.

L’arte greca ha inseguito un modello ideale di perfezione nella ricerca e nello studio del nudo maschile, canone e simbolo di armonia, ma ha espresso vette altissime anche nel nudo femminile, in particolare nell’ellenismo. I Greci nella giovane nuda davano un corpo alla dea dell’Amore e della Bellezza: Afrodite. Venere, per Roma: un nome che proviene dall’idea della bellezza e dell’attrazione, venerazione, che essa suscita.

Un esempio tra i tanti di figura femminile nell’arte che può rappresentare l’idea della bellezza collegata a Venere è Flora.

 


Flora, affresco di Pompei

Flora. Giovane donna della pittura pompeiana a cui è stato dato questo nome e tra le prime di una lunga serie di opere con tale soggetto. Una fanciulla, contro un fondo verde (verde acqua?) come se la superficie di un campo primaverile occupasse interamente l'immagine in un'inquadratura dall'alto, incede con passo lieve sull'erba nuova cogliendo dei fiori. Ci volge le spalle allontanandosi con la veste sollevata dal movimento e forse da un vento leggero (“Zefiro torna, e ‘l bel tempo rimena”, F. Petrarca). È la personificazione della rinascita della Natura, dell'amenità di un luogo, di un'eterna giovinezza. È una bellezza sfuggente e senza volto.

È la compagna di Venere della poesia antica, dall’inno omerico a lei dedicato a Orazio, Lucrezio, Ovidio, Virgilio, fino alla ripresa di Poliziano. È l'immagine di un sogno, della Bellezza, di un mondo inattingibile, con la malinconia della sua perfezione; la malinconia che deriva dalla minaccia del Tempo?

Botticelli riprende quell'idea per i suoi capolavori. Egli costruisce e disegna un suo tipo ideale di bellezza femminile suscitatrice di Amore.

È anche ispirato da una donna reale? Si pensa a Simonetta Vespucci. 

Simonetta Vespucci, di Piero di Cosimo

Simonetta Cattaneo. Proveniente dalla nobiltà genovese, col matrimonio giunge a Firenze dove frequenta la corte medicea. Effigiata da Piero di Cosimo in uno straordinario ritratto di profilo contro una nuvola nera, un presagio a posteriori, della morte prematura. Simonetta è rappresentata in veste di Cleopatra, o Proserpina, con un serpente intorno al collo, con un'acconciatura d'estrema raffinatezza, la purezza dei lineamenti e dell'aspetto, mirabile eleganza. Era amata da Giuliano, che partecipò alla Giostra, un torneo di origine medievale, nel quale era in palio uno stendardo con il ritratto di lei accompagnato dal motto che la definiva la sans par.

La Simonetta Vespucci dal fascino arcano, di Piero di Cosimo, sembra quasi risalire alla Fanciulla Velca, pittura etrusca d'ambito funerario, alla quale è collegabile per varie somiglianze.

Simonetta è la musa ispiratrice di diverse opere di Botticelli, Il ritratto di nobildonna è uno degli esempi dell’“adorazione” nei confronti della sfortunata moglie di Marco Vespucci, parente del navigatore, col quale l'artista condivideva il quartiere fiorentino di appartenenza, Ognissanti.

Botticelli, artista sommo, è riuscito a tradurre un sogno universale in modo mirabile e difficilmente superabile. È una fuga dalla vita reale per un mondo paradisiaco che trova nel mito una veste e un pretesto. La bellezza pura, in una forma perfetta, appare nel luogo delizioso di una campagna incantevole nel tempo primaverile. Si unisono altri elementi associati a Venere: l’acqua, i fiori, nel tempo in cui la natura rinasce e ispira l’unione amorosa. Una nostalgia della terra, una linfa nuova sembra animare le piante, nell’aria un vento lieve diffonde il profumo dei fiori. Molti pittori hanno tentato di restituire quel sogno, anche con una tecnica addirittura migliore, con arcadie, pastorelle nude, ninfe, ruscelli, ecc. ma il risultato non è stato altrettanto spontaneo e sincero. La leziosità o la morbosità di un erotismo, non convincente, sono sempre in agguato.


La Primavera, di Botticelli

È il regno di Venere. È il luogo dell’incontro, al riparo di sguardi, chiuso, lungo un ruscello, nel sentiero del campo rinverdito di tenera erba e di fiori, carezzevole l’aria di un cielo sereno, per un attimo da fermare solo nel ricordo, poiché vive se non si può fermare, bellezza che passa e finisce, come la giovinezza (e la primavera lo è dell’anno). Una bellezza fissata per sempre dall’arte, capace di resistere al tempo ad opera della poesia (Shakespeare, sonetto 18).

È Venere, Natura (e madre) che infonde la voluttà, propaga la vita in primavera, di piante, di animali e dell’uomo. Questo è il canto dei poeti antichi.

Le Afroditi sono due: la terrena e la celeste. Una concezione che Platone fa propria nel Convito. La bellezza ha il compito fondamentale di guidare alla contemplazione della Bellezza in sé, eterna e immutabile. Un’idea che il neoplatonismo rinascimentale riprende nell’arte (anche con tentativi di conciliazione col Cristianesimo). È il desiderio dell’immortalità da conseguire con la procreazione (nella bellezza) e nella memoria (e ne è un esempio il sacrificio di Alcesti). È l’amor sacro e l’amor profano immaginato da Tiziano. Il tutto preceduto dal dolce stilnovo che, agli albori della letteratura italiana, concepisce la donna spirituale, angelicata, edificante e salvifica con un percorso che trionfa e si conclude nella Beatrice dantesca.

Faust ottiene la Salvezza grazie a Margherita, al suo anelito verso l’infinito, al miracolo operato dall’amore: “è l’eterno femminino che ci porta in alto” (sono le parole con cui si chiude il capolavoro di Goethe) non inteso come seduzione ma come l’essenza dello spirito e dei valori della femminilità.

Per il tema della sublimazione della sessualità e dell’opposizione maschile/femminile possiamo servirci delle riflessioni di Romano Luperini a proposito di Lucia Mondella:

per resistere a Lucia, portatrice di luce e di grazia, l’Innominato fa appello ai valori virili, ostenta di disprezzare la debolezza delle donne. In realtà la femminilità ha aperto un varco nella sua corazza ideologica. La femminilità sembra avere un rapporto profondo con un mondo di pietà, di sensibilità e di delicatezza che confina con quello religioso. L’Innominato può accostarsi a Dio padre solo attraverso la mediazione di una figura femminile. In altri termini, più concreti: attraverso la percezione dell’alterità del femminile al proprio mondo dominato dai feticci della forza virile, della potenza, della spietata risolutezza, l’Innominato avvia un capovolgimento di valori che lo avvicinerà alla Chiesa.

È il ruolo di Maria, nuova Eva, mediatrice, ausiliatrice, advocata nostra. È il femminile quale complemento del divino, immagine dell’anima che tende al cielo, a congiungersi con la sua patria.

 

Ila e le ninfe, di J. W. Waterhouse

 

NINFA

Non hai né padre né madre, 
sei tu figlia di una pianta 
com’è del ciliegio il fiore,
sorella sei della rosa
sbocciata tra rovi neri
un giorno di primavera.

Non hai né madre né padre,
apparsa com’erba nuova
al sole di primavera,
da umane sembianze pura.

Finché questo dolce tempo
d’aprile non passa e muta…

(Nicola Belcari, 2018)

 

CHARME ET BEAUTÉ DE FEMME

Per la storia della bellezza femminile nella letteratura, nemmeno un libro interamente dedicato all’argomento potrebbe mai dirsi completo.

Da Elena in poi.

Elena di Sparta. Figura mitica, archetipo e incarnazione mortale e sventurata di Afrodite, strumento del destino, subisce la propria bellezza. La letteratura occidentale già nella prima opera fondamentale, l’Iliade, racconta una guerra scatenata secondo la poesia dalla bellezza di una donna. Quando i capi troiani videro Elena dissero tra loro: non stupisce che Achei e Troiani soffrano a lungo dolori per una donna simile: terribile a vederla, somigliante alle dee immortali.

Ciò è significativo anche se nella realtà le cose non stanno così e la guerra ebbe altre cause. Una bellezza tale da far perdere la ragione o che si fa strumento di ragioni superiori. È da subito la maledizione della bellezza, dono divino, splendido e periglioso. È “miss mondo”, il dottor Faust, sia quello di C. Marlowe, sia quello di Goethe, chiede d’incontrarla. È il “bacio di Elena”, il desiderio di chi ha venduto l’anima.

La letteratura francese in particolare ha forgiato l’immagine della femme fatale: solo due esempi, Manon Lescaut e Marguerite Gautier, la signora delle camelie. Due eroine che hanno avuto l’ardire di servirsi della propria bellezza, una colpa che la società del loro tempo non poteva perdonare, nonostante il pentimento, e perciò punisce con la pena maggiore, la morte, sia pure indirettamente. Esse sono un pericolo, minano l’ipocrisia dei valori sociali, nessun riscatto è possibile e una sacrificherà l’amore e l’altra morirà di stenti durante una fuga disperata da un persecutore.

 

Nyssia, moglie del re Candaule, di C. D. Hue

Théophile Gautier racconta a suo modo, col suo stile d’estrema raffinatezza, il mito di Candaule e Gige. La bellezza vertiginosa di Nyssia, la regina e moglie di Candaule, provoca il comportamento sconsiderato del re, che “costringe” Gige, il capo delle guardie, ad assistere a uno “spogliarello” involontario di Nyssia nell’intimità della camera coniugale. Una tale necessità di “condivisione”, un termine sempre più banalizzato nell’epoca dei social, avrà esiti disastrosi. E Gautier a proposito della bellezza della donna scrive: “la perfezione quando si spinge fino a quel punto è sempre inquietante, e donne così simili a dee non possono che rivelarsi fatali per i deboli mortali”.

Alla Marianna di Marivaux, la bellezza è l’unica dote che le resta dopo la tragedia sofferta nell’infanzia. Essa è capace di risarcire di quell’evento disgraziato la giovane, ma anche di attirarle le insidie di chi la brama senza scrupoli.



Rebecca, di F. Hayez

Nella letteratura inglese, per rammentare i casi più noti, Pamela ed Elizabeth Bennet vincono e superano le barriere sociali grazie alla bellezza unita a una virtù incrollabile e all’intelligenza. E per finire un libro “a caso”: Ivanhoe di W. Scott. Nelle pagine conclusive, di grande poesia, s’immagina l’incontro tra le due donne protagoniste in virtù della loro straordinaria bellezza: Lady Rowane, la sassone, ormai sposa di Ivanhoe, e Rebecca, l’ebrea. Rebecca chiede di poter vedere il volto della donna da cui è stata vinta, una rivale che non sa di essere stata tale; Rowena accetta a patto che sia sollevato anche il velo della sua interlocutrice. È un momento di emozioni intense e sentimenti diversi. La bellezza di Rebecca sconfigge il pregiudizio della razza e conquista il feroce uomo d’arme, l’antagonista dell’eroe che dà il nome al romanzo, ma non può niente contro un’altra bellezza, quella più antica, primeva, conosciuta nella primavera della vita e che già domina nell’animo di Ivanhoe.

Alle origini della letteratura italiana, la scuola siciliana, la scuola toscana, il dolce stil novo e dopo anche i grandissimi con accenti diversi esaltano la donna idealizzata ed è un continuo tornare sul tema della primavera come stagione dell’anima, la rosa simbolo dei simboli, ecc.

La bellezza muliebre, però, secondo un luogo comune, che come molti luoghi comuni possono contenere elementi di verità, presenta il rischio per la donna che la vanta di mutare un’opportunità propizia in una condizione sfavorevole se induce a fissare l’attenzione e la cura a perfezionare o mantenere o valorizzare il proprio aspetto, trascurando di migliorare altre componenti della persona. L’eccessiva consapevolezza della propria avvenenza fa correre il pericolo della superficialità, della frivolezza, della leziosaggine, o peggio, della civetteria. Se il fascino femminile può essere una risorsa o un’arma, a seconda dei casi, esso può divenire una schiavitù per le donne che vivono la condanna di essere belle e l’obbligo di piacere. Esse si riducono a inseguirlo con belletti e trucchi equivoci che “rivelano infelici pretese a una gioventù da tempo tramontata” (T. Gautier). Oggidì, nella sfida contro la natura, le povere sventurate hanno a disposizione, per loro danno, l’infernale strumento (se usato a tale scopo) della chirurgia estetica che offre l’occasione di trasformare nobili vetustà in deformità raccapriccianti.

Da tempo e oggi più che mai la bellezza femminile è oggetto di mercificazione ad opera della pubblicità, dell’industria culturale di consumo, dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, e simbolo ed espressione di un bisogno inappagato e travisato. Ciò nonostante è un valore, uno dei pochi del mondo attuale nel quale i principi tradizionali non sono sopravvissuti a un rivolgimento di mentalità e Weltanschauung senza essere stati sostituiti.

La bellezza di una donna è un messaggio siderale, venusiano, o un’illusione della vanità; può essere un dono immeritato o può rivelare la grazia di un’anima; è un mistero o l’incantamento di un attimo fugace.

La bellezza è un sogno di rivolta e giustizia.

Beauty is truth” (J. Keats).